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ANNO 2 – SETTEMBRE 2004 – ARTROSI DELL’ANCA

il massofisioterapista

Una proposta in ambito posturologico

E’ in costante aumento il numero di persone che, già dai quarant’anni, lamentano dolori all’inguine o all’articolazione dell’anca… una radiografia, ed ecco le allarmanti sentenze di commento che di solito i pazienti si sentono dire e ci riferiscono: se il referto indica “riduzione della rima articolare”, “cerchiamo di ritardare i tempi, poi si dovrà pensare alla protesi”; se il referto parla già di processo artrosico, allora “non rimane molto tempo, bisogna già pensare alla protesi”. In entrambi i casi comunque, quello che viene consigliato è di fare nel frattempo potenziamento, tonificazione, movimento, cyclette, etc, per rafforzare l’articolazione. Nonostante il paziente riferisca che l’anca è dolorante al movimento, vengono consigliati movimento e potenziamento.

Allora viene da domandarsi: perché si verifica questo contrasto tra scienza e natura?

Perché nel caso di un’usura cartilaginea o un processo artrosico vero e proprio, si prescrive di potenziare e fare movimento, mentre l’intelligenza del corpo o il suo istinto di conservazione di fronte al dolore tende a ridurre il movimento? Chi ha ragione? Esiste una possibilità di intervento “naturale” per recuperare la funzione dell’articolazione?

Ma partiamo dalla domanda base: che cos’è l’artrosi?

L’artrosi è un processo degenerativo a carico delle cartilagini dei capi articolari che sono in rapporto fra di loro all’interno di una capsula articolare, che funge da protezione. La cartilagine ha lo scopo di mantenere un attrito facilitato e ridotto al minimo, e la capsula articolare contiene di solito al suo interno un liquido lubrificante, affinché rimanga inalterata la superficie cartilaginea. Se la cartilagine si usura completamente, tale processo può arrivare ad intaccare anche il tessuto osseo, da cui risulteranno poi movimenti ridotti e doloranti, fino alla scomparsa del movimento stesso e alla possibile saldatura dei capi articolari.

Ma come mai tale cartilagine, che gli studi indicano essere stata creata dalla natura per durare almeno 100 anni ed oltre, si usura invece in tempi così brevi?

Evidentemente la società attuale contiene una variabile che sta causando seri danni al nostro sistema muscolo-articolare; il nostro stile di vita, oltre ad uno sviluppo tecnologico accelerato, ha portato con sé anche una notevole dose di stress in più rispetto al passato.

Lo stress è ipertensione muscolare e la nostra soglia di tensione muscolare basale cambia in base agli input esterni; proprio per questa stretta correlazione siamo diventati tutti più tesi e le persone non sono più capaci di rilassarsi, di respirare senza ansia, di lasciarsi andare un poco.

L’ipertonia, favorita da tutti i traumi e le cattive posture abituali della giornata, si riflette ovviamente anche a carico delle articolazioni. Infatti ogni trauma fisico si traduce in una tensione di difesa, che se permane troppo a lungo nel tempo si trasforma in una retrazione muscolare, cioè in muscoli più corti e tesi, i quali ci rendono ogni giorno un po’ più rigidi, piccoli… finché nella senilità la statura si accorcia.

Quindi l’azione dei muscoli retratti sulle articolazioni sono delle coattazioni vere e proprie, a cui noi obblighiamo le giunture quando facciamo movimento, e a forza di muoverle in tali condizioni, insorgerà un’infiammazione ed una lenta ma costante usura delle cartilagini.

Benché oggi si è scoperto che il corpo può ricostruire la cartilagine grazie ad infiltrazioni ed all’assunzione di farmaci che ne stimolano la formazione, non si è pensato che è impossibile ricostruire la cartilagine in un punto in cui c’è costante compressione e distruzione di quella poca che rimane!

Sarebbe come sperare che una cicatrice possa rimarginarsi, mentre ogni giorno ricreiamo la ferita strappando la crosticina che il corpo aveva creato nel tentativo di riparare la lesione.

Dunque, ha ragione il corpo quando tenta di ridurre il movimento per diminuire sia il dolore che la distruzione cartilaginea. Di fronte a tali lesioni non si può chiedere al paziente di potenziare la muscolatura e di fare movimento; anzi, per prima cosa dobbiamo allentare le tensioni all’interno dell’anca, perché queste ad ogni tentativo di movimento consumano la cartilagine esistente.

L’equilibrio e la stabilità dell’anca sono assicurati, oltre che dai legamenti profondi, dai numerosi muscoli che permettono i movimenti in ogni direzione, i quali però, quando si accorciano, diventano i responsabili della distruzione cartilaginea e poi dell’artrosi.

Elenchiamo velocemente i MUSCOLI che sono coinvolti direttamente in tale processo:

FLESSORI dell’ancaESTENSORI        dell’ancaABDUTTORI dell’ancaADDUTTORI   dell’ancaROTATORI dell’anca
Psoas el’IliacoSartorioRetto AnterioreTensore della fascia lataPettineoMedio adduttoreRetto internoGrande gluteoBicipite femoraleSemitendinosoSemimembranosoMedio gluteoTensore fascia lataGrande gluteo (fibre più elevate)PiriformeGrande adduttoreRetto internoSemimembranosoGrande gluteoQuadrato del femorePettineoOtturatore internoOtturatore esternoMedio adduttorePiccolo adduttoreRetto internoPiriformeOtturatore internoOtturatore esternoQuadrato del femorePettineoGrande gluteo e medio gluteo

In merito ai muscoli periarticolari, va detto che essi possono sì contrarsi per difesa a fronte di un trauma diretto, ma al contempo possono anche creare tensione periarticolare per effetto delle catene muscolari, le quali trasmettono tensione in ogni parte del corpo qualora anche un solo anello della catena (dunque un solo muscolo), sia divenuto retratto o sia in uno stato di difesa antalgica. Il punto più debole o più compresso del sistema scheletrico pagherà le conseguenze, di cui una è l’artrosi.

Questo meccanismo delle catene muscolari, fasciali, connettivali, è oggi uno degli elementi di costante studio e ricerca della posturologia, che ha così messo in relazione tutti i principali recettori di informazione del nostro sistema corporeo: la funzione visiva; l’apparato odontostomatognatico; il sistema vestibolare; il sistema recettoriale dei piedi; etc. e le tensioni accomodative antalgiche del sistema neuro-muscolo-articolare.

E’ grazie soprattutto al meccanismo delle catene muscolari se anche i muscoli apparentemente non coinvolti agiscono a favore delle patologie di origine compressiva.

Un banale esempio ci proviene dal diaframma che, con i suoi potenti pilastri, giunge fino alla zona lombare, dove in stretta relazione con lo psoas, forma insieme ad esso un “braccio” unico. Questa solidarietà trasmetterà all’anca le problematiche del diaframma stesso tramite lo psoas: ed ecco che paradossalmente uno stress emotivo, attraverso il diaframma, andrà ad agire in modo negativo sull’anca.

Per questo è importante fare esercizi di decoaptazione articolare, agendo attraverso esercizi di allungamento delle principali catene muscolo-fasciali-connettivali.

Quando osserviamo un paziente in piedi, a piedi uniti, e notiamo che i glutei non sono in grado di decentrarsi ed evidenziano una fossetta laterale, siamo già di fronte ad un segnale di allarme: questo gluteo è un muscolo che non si rilassa più, quindi si comporta come il freno a mano dell’auto che è stato dimenticato un po’ tirato, determinando così maggiore resistenza, più attrito ed ulteriore consumo di carburante e ferodo.

Tale costante ed eccessiva tensione all’interno delle articolazioni, anno dopo anno causerà la degenerazione della cartilagine: qui sta l’inizio del processo artrosico.

In questi casi è fondamentale agire verso l’allungamento muscolare e non solo su quei muscoli direttamente coinvolti, ma sulle catene muscolari in generale, con un “allungamento muscolare globale decompensato”.

Per globale e decompensato, lo ricorderete dagli articoli precedenti, si intende quella modalità di fare stretching che tiene conto delle catene muscolari, cioè non permette i compensi antalgici da parte del corpo durante la fase di allungamento.

Un intervento manuale o fisioterapico che agisce solo in loco non potrà dare risultati stabili e duraturi, che arriveranno invece quando le retrazioni responsabili delle coattazioni verranno risolte nella loro globalità. Osservando la patologia in un’ottica globale, infatti, potremmo scoprire che una coattazione articolare all’anca si è sviluppata per un problema proveniente, ad esempio, da una spalla o da un piede.

Immaginiamo ora di avere a che fare con una persona che presenta i classici sintomi di artrosi all’anca: dolori al movimento e, per tale ragione, diminuzione e limitazione del movimento stesso.

Il primo esercizio proposto è un lavoro di carattere posturale globale (foto n° 1), che agisce sulla catena muscolare posteriore grazie all’utilizzo di un attrezzo, Pancafit®, che permette di variare gli angoli di lavoro in relazione alle condizioni del soggetto.

In seguito è bene fare esercizi che partono dai piedi (sempre in postura con la catena muscolare posteriore in tensione), foto n° 2.

Molto di frequente gli esercizi dei piedi danno un grosso contributo sia alla mobilità delle anche che alla diminuzione dei dolori. Ciò avviene perché se i piedi sono diventati rigidi, il loro movimento ridotto per anni può aver dato luogo ad un compenso di iper movimento all’anca e di conseguenza poi a tensioni ed infiammazioni.

Poi, in relazione alla scarsa mobilità e alla tensione dei muscoli direttamente interessati, sono consigliati massaggi miofasciali e connettivali, sia superficiali che profondi, atti a ridare maggiore libertà ai muscoli; in questo modo si predispone il muscolo e dunque i sarcomeri “fissati e cementati dal tessuto connettivo”, al recupero della lunghezza originale, se sottoposti ad allungamento globale in postura adeguata.

Come evidenziato in queste foto (n° 3, 4, 5), tutti i muscoli coinvolti nella funzionalità dell’anca vengono presi in considerazione e trattati.

Successivamente, di seduta in seduta, si avanza con la tecnica per liberare le anche dalla coattazione (sempre in postura corretta e globale), agendo sull’allungamento decompensato dei muscoli intra ed extrarotatori delle anche, adduttori ed abduttori, flessori ed estensori (foto n° 6, 7, 8).

E’ fondamentale progredire delicatamente, nel rispetto e possibilità del paziente.

Ogni singolo particolare va curato e considerato: ad esempio il sacro deve tassativamente rimanere a contatto dello schienale dell’attrezzo; il respiro deve essere sempre sbloccato per evitare lordosi diaframmatiche e lombari; la SIAS non deve salire ed orientarsi in retroversione; il torace non deve irrigidirsi; le spalle non devono salire o anteporsi; i glutei devono rimanere decontratti, etc.

Con un approccio di tale genere, di solito dopo 3/5 sedute si verificano già apprezzabili cambiamenti positivi: migliora la mobilità, diminuiscono i dolori e quindi aumenta la voglia di muoversi. Le sedute durano circa un’ora, con la frequenza di una a settimana.

Quando sarà possibile passare alle fasi successive, si potrà aumentare l’intensità del lavoro proposto al paziente integrandolo con numerosi altri esercizi, decisamente interessanti e soprattutto funzionali, molti dei quali possono anche venir eseguiti autonomamente dal paziente a casa propria. Naturalmente sempre nel rispetto di una posizione corretta, per ottenere la quale Pancafit® risulta uno strumento indispensabile.

Attenzione: è importante comprendere e valutare quanto indicato finora, così da non proporre al paziente esercizi di potenziamento muscolare alle anche ed in generale (effetto delle catene muscolari), in quanto contrastanti con la meccanica fondamentale delle coattazioni e del processo artrosico.

A conferma di quanto illustrato esistono molti casi, trattati con questa metodologia, che hanno potuto recuperare completamente le loro funzioni ordinarie senza più accusare dolori, subire limitazioni nell’attività sportiva (alcuni) e, soprattutto, scongiurando per il presente la protesi all’anca.

Questa metodologia – basata sulla corretta postura e sul ripristino della lunghezza muscolare attraverso la tecnica dell’“allungamento muscolare globale decompensato”- viene proposta agli operatori in vari corsi e a vari livelli di formazione professionale, ed è utilizzata anche per i pazienti che hanno subito l’intervento per la protesi, per accelerare e migliorare il recupero e la funzionalità.

Prof. Daniele Raggi, Posturologo, Mézièrista, Chinesiterapista.

Docente Master in Posturologia c/o la 1a Facoltà di Medicina e Chirurgia (Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologie), Università “La Sapienza” di Roma.

Prof.ssa Gloria Majocchi, Chinesiologo, Posturologo, MFT.

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